La ricerca suggerisce l’adozione di interventi dietetici specifici
Possono fattori ambientali incidere sullo sviluppo dell’autismo? Il tema, da tempo oggetto di ricerche della comunità scientifica di tutto il mondo, è al centro di uno studio pubblicato sulla rivista Microbiome, firmato congiuntamente da Cnr, Università degli studi di Firenze, Fondazione ‘Edmund Mach’ di Trento e Azienda Ospedaliera Universitaria Senese.
La ricerca, coordinata da Carlotta De Filippo dell’Istituto di biologia e biotecnologia agraria (Ibba-Cnr), ha preso in esame la composizione del microbiota intestinale di soggetti adulti affetti da autismo, cioè l’insieme di microrganismi che ‘vivono’ nell'intestino umano. È noto, infatti, che sostanze presenti nella flora intestinale sono in grado di passare la barriera intestinale e produrre effetti sul sistema nervoso.
«Abbiamo analizzato la composizione del microbiota in soggetti che soffrivano di disturbi gastrointestinali, un disagio molto frequente tra le persone affette da autismo. L’obiettivo era caratterizzare i microrganismi presenti, verificare se vi fossero delle diversità rispetto a soggetti sani, individuare eventuali marcatori. Questo tipo di studio analitico è fondamentale per capire se il microbiota intestinale ha un ruolo nello sviluppo della malattia e, in ultima analisi, comprendere l’influenza di fattori ambientali o alimentari», spiega la ricercatrice.
Lo studio ha utilizzato sofisticate tecniche di metagenomica e bioinformatica per caratterizzare le centinaia di batteri e – per la prima volta - anche di funghi presenti nell'intestino (questi ultimi rappresentano circa l’1-2% del microbiota intestinale). I risultati forniscono un set di marcatori preziosi per valutare e guidare studi di intervento sulla dieta, che è alla base della composizione del microbiota.
«Nei soggetti presi in esame, il profilo di cinque generi microbici e uno fungino, inclusi i coliformi, Clostridium e Candida, appaiono aumentati al crescere della gravità dei sintomi. Abbiamo inoltre riscontrato la presenza di Escherichia coli, un batterio rivelatore di stati infiammatori», prosegue la ricercatrice. «Sebbene non siamo ancora arrivati a definire un profilo di microbiota comune per l’autismo, queste informazioni sono preziose: nell'immediato consentiranno di individuare misure di intervento sull'alimentazione, integrando probiotici e prebiotici, tali da ridurre la sintomatologia gastrointestinale, spesso invalidante. In prospettiva, poi, ci aiuteranno a comprendere la relazione tra regime alimentare e malattia, permettendo di migliorare la qualità della vita dei pazienti».
Un team della Ohio State University coordinato da Ann Gregory ha proposto il trapianto di flora batterica come trattamento allo scopo di ridurre i principali sintomi dell'autismo.
Lo studio pilota, condotto su 18 pazienti fra i 7 e i 16 anni, è stato pubblicato anche in questo caso sulla rivista Microbiome. Gli scienziati hanno dapprima somministrato un ciclo di antibiotici e una serie di clisteri per «ripulire» l'intestino, dopodiché hanno proceduto alla ricolonizzazione dell'organo con il trapianto fecale, garantendo così ai soggetti una nuova flora intestinale.
Nel corso dei due mesi successivi i ricercatori hanno verificato miglioramenti sia nei sintomi di carattere intestinale, sia in quelli tipici dell'autismo, dalle difficoltà relazionali ai disturbi del sonno.
Anche un team di scienziati del California Institute of Technology ha pubblicato sulla rivista Cell il resoconto di una sperimentazione effettuata su modello murino.
Lo studio dimostra che alcuni cambiamenti a carico della flora intestinale possono determinare comportamenti simili a quelli rilevabili nei soggetti autistici. Fra i topolini sotto esame, quelli che riproducevano un modello autistico soffrivano anche di permeabilità intestinale. Gli scienziati li hanno trattati con Bacteroides fragilis, un tipo di batterio utilizzato per terapie probiotiche in modelli animali di patologie gastrointestinali.
Una volta risolto il problema intestinale, i topi hanno mostrato cambiamenti a livello comportamentale. Nello specifico, sembravano più propensi a comunicare con gli altri topi, mostravano un livello di ansia inferiore e dedicavano meno tempo ai comportamenti ripetitivi.
Un altro studio della Columbia University pubblicato sulla rivista Mbio ha indagato il nesso esistente fra i disturbi dello spettro autistico e l'attività del nostro intestino. Stando ai dati emersi, i bambini autistici ospitano nel proprio intestino una varietà di batteri che non è invece presente nei bambini normali.
Lo studio, firmato da Brent Williams e dai suoi colleghi della Mailman School of Public Health presso la Columbia University, sottolinea l'esistenza di vari sintomi gastrointestinali nei bambini autistici, oltre che infiammazioni e anomalie del tratto intestinale superiore e inferiore.
Il rapporto di causa ed effetto è ancora misterioso. Non si sa bene se la causa dei disturbi sia da ricercarsi in questi batteri o se la presenza di anomalie a livello gastrointestinale apra la porta alla proliferazione di questa classe di batteri sconosciuta nei soggetti non autistici.
Christine A. Biron, docente di Scienze Mediche presso la Brown University, spiega: «Il rapporto tra microrganismi diversi, l’ospite e gli esiti per la malattia e lo sviluppo è un problema emozionante. Questo documento è importante perché inizia ad avanzare l’ipotesi di come i microbi residenti interagiscono con un disordine ancora poco conosciuto».
I batteri appartengono al genere Sutterella, presenti nei soggetti autistici soprattutto nel fegato. Il batterio è presente soltanto nei bambini autistici che mostrano anche problemi gastrointestinali. «Sutterella è stata associata a malattie gastrointestinali sotto il diaframma, e se si tratta di un agente patogeno o meno non è ancora chiaro – spiega Jorge Benach, Presidente del Dipartimento di Microbiologia presso la Stony Brook University –. Non è un batterio molto noto».
«La maggior parte del lavoro che è stato fatto collega il microbioma intestinale con l’autismo ed è stato fatto con i campioni di feci. Quello che può apparire in un campione di feci può essere però diverso da ciò che è direttamente collegato al tessuto».
Nonostante queste scoperte, ancora molto c'è da scoprire sull'autismo e soprattutto sui suoi rapporti con l'apparato gastrointestinale.
05/06/2017 Andrea Sperelli
tratto da : http://www.italiasalute.it